Filippo Lippi e Donatello nel Duomo di Prato
Quel frate pittore, amico dei Medici, che fu il più grande narratore dei suoi tempi e precursore della grande stagione artistica del Cinquecento
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Una visita alla scoperta del Duomo di Prato e dei capolavori in esso conservati. Un’occasione anche per raccontare le intemperanze sentimentali di un frate scapestrato che fu pittore straordinario, Filippo Lippi.
- Una visita fuori porta
- Gli affreschi di Filippo Lippi
- La storia della reliquia della Sacra Cintola
- La Cappella del Sacro Cingolo di Agnolo Gaddi
- Il pulpito di Michelozzo e Donatello
Maggiori informazioni
La visita non potrà che avere inizio dall’ampia Piazza del Duomo che, per molti aspetti, si è sviluppata nelle forme attuali in funzione della Basilica di Santo Stefano e che permette di ammirare la chiesa da innumerevoli punti di vista diversi.
Si hanno notizie certe dell’esistenza dell’edificio religioso a partire dal 994, anno in cui viene attestata l’elevazione a pieve battesimale del Borgo al Cornio, quell’abitato romano, sviluppato dai Longobardi, che darà origine alla città pratese nelle forme attuali. Parallelamente alla città andò crescendo e sviluppandosi anche la cattedrale e già nel XII secolo, infatti, si intrapresero importanti lavori di ampliamento che proseguirono fino a tutto il secolo successivo.
Venne anche chiamato a lavorare nella città pratese un noto marmoraro lucchese, il maestro Guidetto cui si deve la realizzazione di quel “bel campanile che servì da modello al campanile di Giotto, ma più di quello è semplice, snello, e schietto: di pietra tagliata, di buona e liscia pietra pratese” (C. Malaparte, “Maledetti Toscani”) che venne completato con l’ultimo ordine a trifore intorno al 1356.
In quegli stessi anni si dava fine al rifacimento del transetto iniziato nel 1317; si realizzava la ben nota Cappella della Sacra Cintola, affrescata dal giottesco Agnolo Gaddi con le Storie della Vergine e della Cintola e si iniziava la costruzione dell’attuale facciata che andò a sovrapporsi a quella più antica.
Nel Quattrocento il Duomo di Prato si arricchì di altri grandi capolavori: nei primi anni di quel nuovo secolo si richiese a due maestri fiorentini, Donatello e Michelozzo, l’esecuzione di un Pulpito destinato all’ostensione della Sacra Cintola che doveva sostituire un precedente trecentesco, già sistemato sul fianco della chiesa; qualche decennio più tardi si chiamò il pittore Filippo Lippi a decorare ad affresco la Cappella maggiore con le Storie di Santo Stefano e San Giovanni Battista. Un’impresa questa che richiese molti anni e che ebbe un ruolo centrale tanto nella vicenda artistica del Lippi quanto nell’evoluzione dell’arte rinascimentale.
Per tredici anni, dal 1452 al 1465, Filippo che era frate carmelitano, formatosi sugli affreschi di Masaccio nella Cappella Brancacci, lavorò agli affreschi del Duomo di Prato, fra interruzioni, richieste di denaro, solleciti per la conclusione dei lavori, fughe, verifiche e rinegoziazioni del contratto. Furono anni cruciali anche per la vita personale del pittore che proprio all’inizio del 1456, nel periodo centrale dell’esecuzione degli affreschi pratesi, nominato cappellano nel Convento agostiniano di Santa Margherita, si innamorò di una giovane monaca, Lucrezia Buti.
Dopo averla fatta posare per una pala destinata al medesimo monastero, convinse Lucrezia a fuggire dal convento per andare a vivere con lui, nella sua casa acquistata a Prato. Fu scandalo. Un anno dopo Lucrezia dette alla luce il primo figlio, Filippino e fu solo per l’intercessione della famiglia Medici e in particolare di Cosimo il Vecchio, che papa Pio II concesse ai due, qualche anno più tardi e dopo molte peripezie, lo scioglimento dei voti.
Il Lippi non sposò mai Lucrezia, ma ne fece la modella immortale e dolcissima dei suoi dipinti, dalla Lippina degli Uffizi alla bellissima Salomè del ciclo di Prato. Un ciclo che saprà sorprenderci per l’uso audace e sapiente del colore, per i suoi vaporosi panneggi, per la luminosità e l’eleganza delle figure, per quegli scorci profondi delle architetture che vanno ad accentuare il senso di movimento di ogni personaggio.
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