Quando si pensa a Sandro Botticelli o si guardano le sue opere più note, la Primavera e la Nascita di Venere della Galleria degli Uffizi, ad esempio, ci figuriamo un pittore colto e serio, un uomo un po’ filosofo, più dedito alle speculazioni intellettuali che al vivere in spensieratezza. Eppure molte fonti dell’epoca riportano che Sandro “era persona molto piacevole e faceta e sempre baie e piacevolezze si facevano in bottega sua, dove continovamente tenne a imparare infiniti giovani, i quali molte giostre e uccellamenti usavano farsi l’un l’altro”. Benché stupiti, dobbiamo constatare che nella bottega di Sandro vi era un alto tasso di allegria e un’atmosfera così gioviale che, se lasciata libera totalmente, avrebbe prodotto certamente una pittura satirica e burlesca. Ma non erano ancora pronti i tempi.

La testimonianza di Agnolo Poliziano

Che Botticelli fosse persona arguta lo conferma il noto poeta, umanista e filologo Agnolo Poliziano. E’ costui a raccontare del giorno in cui al nostro artista venne prospettato da Tommaso Soderini di prendere moglie. La risposta del Botticelli non si fece attendere: disse di aver sognato di sposarsi e che tale sogno l’aveva così spaventato che, temendo di ricaderci, andò “tutta notte a spasso per Firenze come un pazzo, per non havere cagione di raddormentarmi”. Il Soderini capì presto che “non era terreno per porvi vigna”. Se non bastasse questo episodio a render ragione della simpatia di Sandro, proviamo a raccontare uno degli scherzi tra i più riusciti architettati dal maestro e avente come protagonista un ex allievo del pittore, il Biagio.

La burla delle burle

La burla delle burle, tuttavia, si trova all’interno di un’opera d’arte, nel Sant’Agostino nello studio che Botticelli lasciò negli anni ottanta del Quattrocento a Ognissanti. Lì, sulle pagine di un libro appoggiato sulla mensola di uno scaffale, si trova scritto: “Dov’è fra Martino? E’ scaphato. E dov’è andato? E’ andato fuor dela Porta al Prato”. Che significa esattamente? Con molta probabilità il Botticelli riferiva di un qualche Umiliato che, tentato dalle cose terrene, aveva visto vacillare la propria vocazione e di era dato alla fuga,  guadagnando la campagna fuori dalle vicine mura cittadine, verso appunto Porta a Prato. Una storia certo irriverente, di cui forse non si doveva parlare, ma che invece il nostro Sandro scelse di consegnare, consapevolmente, alla storia!

Un affresco “nel tramezzo alla porta che va in coro”

Il Sant’Agostino nello studio venne commissionato a Sandro Botticelli dalla potente famiglia dei Vespucci intorno al 1480. La datazione dell’opera è confermata non da fonti o documenti, ma bensì dalla sua forte analogia con l’affresco, sistemato proprio dirimpetto al nostro, richiesto dalla stessa nobile casata a Domenico Ghirlandaio e raffigurante San Gerolamo nello studio. Qui, sullo scrittoio cui è appoggiato il santo, proprio dietro un paio di forbici, si legge la data MCCCCLXXX. Che i due lavori siano strettamente legati, anche nella loro realizzazione, lo rivelano l’impaginazione e il soggetto, descrivendo entrambi due Dottori della Chiesa, seduti nei rispettivi studi. Le fonti ci raccontano, inoltre, che i due affreschi decoravano lo spazio vicino alle porte dell’originario coro della chiesa, distrutto in epoca controriformata. In quell’occasione gli affreschi vennero smantellati e rimontati lungo la navata, nell’odierna postazione: se le figure dei santi si salvarono, diversa sorte toccò alla cornice architettonica dipinta e alle iscrizioni che li accompagnavano.

Gli Umiliati a Firenze agli esordi del XIII secolo

La storia della chiesa di Ognissanti è legata indissolubilmente, fin dalle sue origini,  all’Ordine degli Umiliati. Provenienti dal Nord Italia, precisamente dal convento della Bormiola di San Michele in Alessandria, essi giunsero a Firenze intorno al 1239 e venne loro concesso l’uso dei locali e della chiesa di San Donato in Polverosa, un luogo di culto, oggi profondamente mutato, che, nel primo XIII secolo, si trovava in aperta campagna, molto lontano dal centro cittadino. Dal momento che gli Umiliati erano gran lavoratori, dediti soprattutto alla lavorazione della lana e del vetro, la distanza dalla città e l’esigenza dell’acqua, indispensabile al loro lavoro, spinse i Frati ad avvicinarsi alle mura della città, acquistando, sulla riva destra dell’Arno, un piccolo oratorio che, nelle loro intenzioni, sarebbe stato presto ampliato con la costruzione di una chiesa e di un convento. Nel contempo, chiesero anche – ed ottennero – la possibilità di trasferirsi nella cappella e nella proprietà di Santa Lucia, vicino al lebbrosario di Sant’Eusebio, in quel territorio che, in seguito, sarebbe diventato il Prato d’Ognissanti.

Ognissanti: una zona proto-industriale

Essendo espertissimi nella lavorazione della lana, gli Umiliati, per la loro ubicazione, scelsero un luogo di Firenze che ben si prestava alle loro esigenze. La zona che verrà detta di “Ognissanti” era particolarmente adatta, in primo luogo perché ancora non urbanizzata e quindi facilmente piegabile ai loro bisogni. Non solo, correva un tempo, sull’odierno tracciato di via dei Fossi e piazza Goldoni, la prima cerchia comunale di fortificazioni; lungo le mura, a creare una sorta di fossato, era stato deviato il Mugnone che, laddove oggi è il Ponte alla Carraia, andava a tuffarsi nelle acque dell’Arno, formando un’isoletta che, a sua volta, creava un canale utile per ricavare l’energia idraulica indispensabile per mulini e gualchiere. Insomma, un luogo, quello scelto dagli Umiliati, perfettamente idoneo all’industria laniera, la cui presenza andò poi ad influenzare l’intero tessuto urbano di quel rione. Nasceranno infatti, per volontà degli Umiliati, il Borgo Ognissanti, con le case destinate ai lavoratori, la pescaia di Santa Rosa, che garantiva lo sfruttamento dell’acqua in ogni periodo dell’anno e il Ponte sopra citato.

La prima chiesa di Ognissanti

Una volta che gli Umiliati si furono trasferiti più vicino alla città, si dette inizio ai lavori di ampliamento del piccolo oratorio che essi avevano acquistato e in breve tempo il complesso dedicato a tutti i santi dovette essere pronto. Sicuramente si può ritenere che tra il 1250 e il 1261, la chiesa, il convento e il campanile fossero già terminati. Stando infatti alle fonti, nel 1255 si tenne il Capitolo per eleggere il “preposto” e circa vent’anni più tardi i religiosi avevano raggiunto una tale notorietà che si dissero disposti a costruire, come si diceva, case per gli artigiani, un piccolo porticciolo, la postierla sull’Arno, la gora e “le mulina”.

La chiesa, con pianta a “tau”, doveva presentarsi con un’unica navata, esattamente come adesso, con dieci finestroni ogivali a illuminarla (in parte ancora oggi visibili dall’esterno) e con copertura a capriate lignee policrome, secondo la moda del tempo. Il presbiterio che terminava ai lati con due cappelle, secondo recenti indagini, doveva essere più corto rispetto a quello odierno, terminando laddove oggi si innalza il Crocifisso bronzeo sopra l’altare maggiore. La zona dei religiosi era divisa da quella destinata ai fedeli, com’era consuetudine, da un’alta “muraglia”, il cosiddetto tramezzo

Le trasformazioni dell’edificio e l’arrivo degli Osservanti

Dopo tre secoli di permanenza in borgo Ognissanti, gli Umiliati, ridotti per numero e per forze morali, dovettero trasferirsi. Il mercoledì delle Ceneri del 1561 esso si ritirarono nella chiesa di Santa Caterina e subentrarono i frati Minori Osservanti francescani, amatissimi dalla corte granducale e fino ad allora presenti nel convento di San Salvatore al Monte. Una volta insediatisi, i nuovi frati dettero avvio a una serie importante di lavori che cambiarono profondamente la facies della chiesa e del convento. La ristrutturazione di Ognissanti comportò la demolizione del tramezzo onde la chiesa fosse più luminosa, più adagiata, e più spedita”, la risistemazione dell’altare maggiore, la demolizione della pavimentazione in maiolica e la sua sostituzione con un semplice impiantito “ammattonato” e, infine, la costruzione delle dieci edicole della navata, configurate come cappelle e poste sotto il patronato di varie famiglie. Fu in questo momento che due Dottori della Chiesa suddetti, richiesti dai Vespucci al Ghirlandaio e al Botticelli, vennero trasferiti nella loro collocazione odierna.

Il Sant’Agostino, un’opera che riuscì “lodatissima”

In uno studio umanistico, tipicamente quattrocentesco, definito in maniera dettagliata con un pennello alla fiamminga, siede Sant’Agostino. Tiene una mano al petto, mentre l’altra regge il libro che il Dottore evidentemente sta leggendo. Alle sue spalle, in alto, un orologio segna il tempo: la lancetta è situata fra l’I e il XXIV e si allude verosimilmente all’ora del tramonto del sole. L’idea di rappresentare il santo, nella sua cella, in un preciso momento della giornata dimostra l’intenzione del Botticelli di narrare un fatto preciso della vita del santo. Il dato dell’ora, dicono gli studiosi, è la chiave di lettura del dipinto. In una delle sue Epistole, infatti, Agostino racconta che un giorno, nell’ultima ora prima del tramonto, era seduto nella sua cella a meditare. Volle prendere la penna per comunicare le sue riflessioni all’amico Girolamo – non a caso dipinto sulla parete opposta – quando il santo gli apparve in visione e gli spiegò che era impossibile descrivere la beatitudine se non la si sperimentava di persona: era quella l’ora della morte di Girolamo. Agostino è raccontato dall’artista in un gesto di forte tensione spirituale, mentre la luce “divina” lo immerge e la sua fronte si increspa pensierosa. Dice Giorgio Vasari che l’opera “riuscì lodatissima per avere egli dimostrato nella testa di quel Santo, quella profonda cogitazione et acutissima sottigliezza, che suole essere nelle persone sensate et astratte continuamente nella investigazione di cose altissime e molto difficili”. Che il santo fosse interessato a studi elevati, lo dimostrano gli oggetti presenti nel dipinto alludenti, perlopiù, alle scienze matematiche e astronomiche, quali la bella sfera armillare posata su una mensola dello studio, alla nostra sinistra.

La testimonianza di Agnolo Poliziano

Che Botticelli fosse persona arguta  lo conferma il noto poeta, umanista e filologo  Agnolo Poliziano. E’ costui a raccontare del giorno in cui al nostro artista venne prospettato da Tommaso Soderini di prendere moglie. La risposta del Botticelli non si fece attendere: disse di aver sognato di sposarsi e che tale sogno l’aveva così spaventato che, temendo di ricaderci, andò “tutta notte a spasso per Firenze come un pazzo, per non havere cagione di raddormentarmi”. Il Soderini capì presto che “non era terreno per porvi vigna”. Se non bastasse questo episodio a render ragione della simpatia di Sandro, proviamo a raccontare uno degli scherzi tra i più riusciti architettati dal maestro e avente come protagonista un ex allievo del pittore, il Biagio.

Lo scherzo ai danni del povero Biagio

Dovendo vendere, il nostro Biagio, un tondo da lui realizzato, l’opera fu portata nella bottega del maestro. In breve giunse il compratore che, vedendola e ammirandola, decise di prenotarla. A quel punto, però, Botticelli e Jacopo, un aiutante del maestro, concordarono con l’acquirente una burla ai danni del povero pittore.  Durante la notte, maestro e aiutante ritagliarono nella carta dei semplici cappucci rossi e li incollarono sul tondo, esattamente sulla testa degli angeli che circondavano la Madonna. La mattina successiva, Biagio e acquirente giunsero in bottega. Quando il primo vide il quadro così mutato per poco non svenne; ma, inspiegabilmente, il compratore si mise ad elogiare l’opera come se non vedesse le trasformazioni sopraggiunte. Il pittore, allibito, rimase in silenzio, tentando di portare a buon compimento l’affare. Non appena fu possibile, Botticelli tolse, di nascosto, i cappucci e il povero Biagio pensò di essere stato vittima di un’allucinazione. E glielo fecero allegramente credere tutti quanti! Solo dopo lungo tempo gli venne finalmente rivelato lo scherzo.