La Madonna con Bambino e San Giovannino meglio conosciuta come Madonna della Seggiola è un olio su tavola realizzato da Raffaello Sanzio nel periodo della sua maturità romana, intorno al 1512. Capolavoro del Rinascimento, il dipinto è oggi conservato alla Galleria Palatina di Firenze.

La genesi del dipinto: il silenzio delle fonti

La Madonna della Seggiola è oggi una delle opere più celebri di Raffaello. Eppure non sono ancora del tutto chiare le vicende che portarono alla sua genesi. La mancata menzione dell’opera negli scritti dei due più illustri biografi del Cinquecento, Giorgio Vasari e Raffaello Borghini, ha portato, nei secoli, a diverse interpretazioni ed ipotesi, quale la possibilità di riconoscere nel tondo di Raffaello quello descritto nella Cappella del Perdono del Palazzo di Urbino che oggi invece sappiamo far riferimento alla Sacra famiglia del libro attribuita a Raffaello e Giovan Francesco Penni.

Una probabile committenza papale

Stando alle interpretazioni più recenti, la Madonna della Seggiola potrebbe esser stata eseguita dal nostro Sanzio, nel suo periodo romano, intorno al 1512, per una committenza di altissimo rango: la novità e la complessità della composizione dell’opera, infatti, chiamerebbero in causa un colto committente, quale il pontefice, Giulio II della Rovere o il successore Leone X Medici, o, più facilmente, un personaggio gravitante nella corte papale.
E in quella corte l’opera doveva essere ben conosciuta, se venne scelta per essere incisa su una lettera di indulgenza di papa Gregorio XIII che fu capo della Chiesa tra il 1572 e il 1585. Non solo, Raffaello scelse di far sedere la sua Madonna su una sedia camerale che era, di fatto, privilegio del pontefice o di altissimi dignitari a lui vicini. Non scordiamo, infatti, che quella stessa “seggiola” il Sanzio la figurerà, qualche anno più tardi, nel noto Ritratto di Leone X con i cardinali Giulio de’ Medici e Luigi de’ Rossi. Tutta una serie di indizi farebbero insomma propendere per una committenza romana e papale.

Ferdinando I dei Medici e l’arrivo della Madonna a Firenze

Fu quindi a Roma, si può supporre, che Ferdinando I dei Medici, allora cardinale, dovette acquistare la Madonna della Seggiola per la sua bella villa sul Pincio, dove l’opera rimase, immaginiamo, fino alla sua partenza improvvisa per Firenze. Nel 1587, infatti, moriva nella villa di Poggio a Caiano, il “malinconico” Francesco I dei Medici, secondo granduca di Toscana. Non avendo quello eredi maschi diretti, la direzione dello Stato passava necessariamente al secondogenito di Cosimo I, quel Ferdinando appena citato che, svestito l’abito cardinalizio, abbandonò in tutta fretta la città Eterna, portandosi appresso, immaginiamo ancora, le opere che più amava. Tra queste doveva certo essere la Madonna di Raffaello che, difatti, compare già citata nell’inventario della Tribuna degli Uffizi del 1589.

Dalla Tribuna degli Uffizi all’appartamento del Gran Principe Ferdinando

In Tribuna l’opera, dotata di una cornice “a quattro triangoli di pietra di broccatello con adornamenti di noce filettati d’oro”, rimase fino alla fine del XVII secolo, quando si decise di spostarla nella Guardaroba di Palazzo Pitti.
A volere il trasferimento era stato il Gran Principe Ferdinando che apprezzava così tanto l’opera da volerla appesa nella camera da letto del suo appartamento al piano nobile, insieme a un’altra tavola di Raffaello, la Madonna dell’Impannata. Fu in quel momento, per dare omogeneità alle opere esposte, che la cornice venne sostituita con quella attuale, presumibilmente realizzata, su disegno di Diacinto Maria Marmi, dalle abili mani di Giovan Battista Foggini.

Prima di abbandonare la Tribuna

In un Giornaletto della Galleria del XVII secolo, in data 26 gennaio 1648 si annotava che la Madonna della Seggiola di Raffaello veniva prestata, per un tempo imprecisato, a Giovanna Garzoni, una delle più importanti protagoniste della cultura figurativa del XVII secolo. Fantasiosa e curiosissima, la Garzoni, originaria di Ascoli Piceno dove nacque intorno al 1600, ebbe una spiccata indole itinerante che la rese una delle pittrici più colte e cosmopolite della sua epoca. Visse alle corti di Venezia, di Torino e di Napoli – solo per citarne alcune – e risiedette a lungo a Firenze, stringendo ottimi rapporti con i Medici. La loro quadreria divenne, per Giovanna, continua fonte di ispirazione per le sue più mirabili invenzioni e alcuni dipinti, come la nostra Madonna, la colpirono così tanto da volerli riproporre in miniatura. Ed ecco spiegato il prestito cui si accennava.
Qualcosa, tuttavia, dovette andare storto, se, nella stessa pagina di quel Giornaletto, si diceva che il tondo di Raffaello era stato “riauto, ma guasto”. Cosa fosse successo, è difficile stabilirlo dai documenti, ma possiamo asserire con certezza che il guasto non dovette essere così grave, se, qualche tempo più tardi, nel 1657, l’erudito e scrittore d’arte Francesco Scannelli diceva l’opera perfettamente conservata e ne ammirava la “freschezza della tavolozza”.

La Madonna tra il nuovo ordinamento lorenese e la “partenza” per Parigi

Con la nuova distribuzione delle opere d’arte in palazzo Pitti che seguì l’arrivo di Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, nel XVIII secolo, e che andò a costituire l’odierna quadreria nel quartiere di Pietro da Cortona, la Madonna della seggiola venne prima collocata nella sala di Giove e poi, qualche anno più tardi, in quella dedicata a Marte. Fu da qui che l’ormai celeberrimo dipinto, insieme a un nutrito gruppo di capolavori, prese, dopo l’occupazione di Firenze da parte delle truppe napoleoniche nel 1799, la via per Parigi. Dopo svariate peripezie e tanti trasferimenti che certo non portarono beneficio al dipinto, il tondo di Raffaello tornò a Firenze, insieme agli altri quadri recuperati, nel 1816. Fu a quel punto reinserito nella cornice da cui era stato tolto al momento della partenza e, successivamente, spostato laddove ancora oggi possiamo ammirarlo: la sala di Saturno.

Chi è Raffaello Sanzio?

Raffaello nacque a Urbino nel 1483. Il padre, Giovanni Santi, era pittore di corte dei Montefeltro e fu nella sua bottega che il Nostro apprese i primi rudimenti dell’arte, sviluppando presto quella passione e quel talento che, nel giro di pochissimi anni, lo portarono a divenire l’artista più richiesto da ogni signore e corte d’Italia. Dopo la morte di Giovanni, avvenuta nel 1494, Raffaello entrò in contatto con un importantissimo maestro del tempo, Pietro Perugino: sarà questi ad avviare il giovane verso le più aggiornate novità linguistiche del tempo, chiamandolo a lavorare in alcune sue prestigiose commissioni.

Il periodo fiorentino

Dopo una prima formazione, dunque, tra le Marche e l’Umbria e un probabile primo viaggio a Roma, il giovane Raffaello giunse a Firenze, dove rimase per ben quattro anni, tra il 1504 e il 1508. Attento alla lezione di Michelangelo e di Leonardo da Vinci, entrambi presenti in città, Raffaello andò elaborando un proprio linguaggio figurativo, assimilando in modo creativo i modelli di quei due grandi maestri che andò a mettere a frutto in due “temi” cui si dedicò in quel tempo: la “Madonna col Bambino” e il “Ritratto”. Ne nacquero opere superbe, come i Ritratti dei coniugi Doni (Firenze, Galleria degli Uffizi), il Ritratto di giovane con pomo (Firenze, Galleria Palatina), la Madonna del Cardellino (Firenze, Galleria degli Uffizi) o la Madonna del Prato (Vienna, Kunsthistorisches Museum), solo per citarne alcune.

Il periodo romano

Nel 1509 Raffaello fu chiamato a Roma da papa Giulio II e amò fin da subito quella città fatta di papi e potenti committenti, di umanisti e di scienziati, di artisti e di tanti letterati, molti dei quali divennero suoi cari amici. Qui visse fino alla morte che arrivò, ahinoi, troppo presto, nel 1520, spegnendolo alla tenera età di 37 anni.  In questi undici anni romani, intensi e prolifici, che videro la nascita di capolavori come gli affreschi delle Stanze Vaticane o della Loggia di Psiche alla Farnesina, che lo videro architetto della Fabbrica di San Pietro o della cappella Chigi in Santa Maria del Popolo, oltre che pittore di numerosissime tavole, Raffaello poté esprimere il suo talento in forme nuove e sperimentali che lo consacrarono, al pari di Michelangelo, il massimo artista del Rinascimento.
Alla sua morte, inaspettata e prematura, grande fu “lo sgomento e la tristezza che quella scomparsa aveva generato nell’animo di tutti ma particolarmente in seno a quella comunità di umanisti che aveva al contempo ispirato e consentito negli anni romani l’esponenziale sviluppo del potenziale progettuale e delle ambizioni culturali di Raffaello”.

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Raffaello in Galleria Palatina »

Raffaello in Galleria Palatina

Un’opera “tutto spirito, gratia e decoro”

La raffigurazione dei gruppi sacri della Madonna con il Bambino, spesso arricchiti da altre figure, fu, fin dal periodo fiorentino, uno dei principali terreni di prova di Raffaello che, talentuoso qual’era, cercò sempre di sperimentare, ogni volta, diverse soluzioni compositive e formali. E se negli anni della maturità il Nostro approfondì le proprie ricerche nelle grandi pale d’altare, mirando al coinvolgimento emotivo dello spettatore attraverso grandiosi impianti compositivi, nelle opere di destinazione privata perseguì invece la naturalezza degli atteggiamenti e degli affetti. Caso esemplare, a tale proposito, la nostra Madonna della Seggiola “quadro forsi men di un braccio – nota il citato Francesco Scannelli – che dimostra espresso un capriccioso ritrovato della B. Vergine col Cristo Bambino fra le braccia, opera talmente ben disposta , e con tanto di bell’artificio ridotta, che dimostra in così angusto spazio quasi mezza figura al naturale, e in questo eccellentissimo dipinto riconoscerà il virtuoso, quello possa operare un ingegno divino in tal professione”. La Madonna della Palatina fu dunque riconosciuta, fin da subito, il capolavoro di Raffaello, il massimo raggiungimento di una invenzione “rara”.

Una personalissima versione del tema

L’opera raffigura la Madonna col Bambino e San Giovannino. Maria è seduta su una sedia camerale, stringe il Bambino tra le braccia e si volge verso lo spettatore. Accanto è San Giovannino che affiora dallo sfondo scuro e che rivolge un gesto di preghiera alla Vergine. Nonostante Raffaello avesse affrontato il tema più volte nel corso della sua carriera, la composizione della scena e l’abbraccio della madre col figlio sembrano qui trovare una soluzione ancora diversa, considerata universalmente il punto d’arrivo della ricerca del maestro nel racconto del divino profondamente umanizzato e pure attualizzato.
Di fatto Maria veste in maniera elegante: è abbigliata secondo la moda del tempo, dalla sciarpa colorata che avvolge il busto della Madonna all’“asciugatoio vergato” legato a turbante sulla testa. La volontà del Sanzio sembrerebbe dunque quella di attualizzare l’immagine della Vergine, rispettandone comunque tutta la sacralità, con la scelta di stoffe preziose, in linea con la tradizione fiorentina che aveva visto poco prima Botticelli avvolgere un turbante ricchissimo sul capo della Madonna del Magnificat degli Uffizi. Vero è che per alcuni studiosi quel turbante sulla testa potrebbe alludere al concetto di Madonna-Sibilla che, guardandolo, prevede il destino del Figlio; in questo caso, l’abbraccio di Maria non sarebbe tanto manifestazione di affetto, quanto una sorta di moto di difesa davanti alla futura Passione annunciata dal Battista col Crocifisso.

Tra umano e divino: morbidezza di incarnato e dolcezza di affetti

L’inusuale presentazione iconografica dell’opera, l’invenzione compositiva delle figure che seguono naturalmente, con i loro atteggiamenti, l’andamento circolare della cornice, la serena dolcezza del volto della Vergine che tutta la letteratura ha concordemente letto come l’espressione più sublime dell’amore materno, la sfumatura malinconica della Madonna, così come lo sguardo serio e limpido del Bambino o l’espressione intensa e dolente del Giovannino, tutto questo racconta di un Raffaello non solo maestro del pennello, ma anche del sentimento e della penetrazione psicologica.
Se la scelta del formato circolare si ricollega alla tradizione fiorentina del cosiddetto “desco da parto” e la monumentalità delle figure si lega all’esempio michelangiolesco, la morbidezza degli incarnati, la delicatezza dei volti delle figure, l’affetto sacro eppure umano dei personaggi, la resa psicologica, lo studiato accostamenti dei colori, la materia pittorica densa e piena, nonché la cura e la finezza dei tanti dettagli, tutto questo parla di Raffaello e di un Raffaello pittore “divino”.

Ideale femminile o ritratto dell’amata?

La bellezza del viso della Madonna è alle origini anche delle leggende romantiche che la vollero ispirata dall’incontro tra il pittore e una giovane popolana. Lei si chiamava Margherita Luti. Era una bella donna di origine senese, trasferitasi presto con la famiglia a Roma; era la figlia di Francesco Luti, fornaio in Trastevere e dal mestiere del padre ereditò quel soprannome “Fornarina” che l’avrebbe immortalata nella storia, complice lo straordinario ritratto fattole dal Sanzio intorno al 1518.

“Un pensier dolce è rimembrare – scrive il Sanzio in un noto sonetto -, e godo / di quell’assalto, ma più provo il danno / del patir, ch’io restai, come que’ ch’anno / in mar perso la stella, se il ver odo. / Or lingua di parlar disciogli il nodo / a dir di questo inusitato inganno / che amor mi fece per mio grave affanno; / ma lui più ne ringrazio, e lei ne lodo. / L’ora sesta era che l’occaso un sole / aveva fatto, e l’altro scorse il loco / atto più da far fatti che parole. / Ma io restai pur vinto al mio gran foco / che mi tormenta, ché dove l’uom suole / desïar di parlar, più riman fioco”.

Benché i recenti studi siano concordi nel ritenere che i tratti del volto della Madonna della Seggiola rispondano a una variazione elaborata dal pittore sul tema del suo ideale femminile, senza bisogno dunque di riferimenti a modelle o donne reali, continua comunque ad affascinare l’idea di poter riconoscere, in quel volto, la donna amata da Raffaello, forse perchè è molto più “comprensibile”, per noi semplici spettatori, spiegare in questo modo quel sentimento così intenso e penetrante che sentiamo abitare, nobilitandolo, il dolce ovale della Madonna.