Il Cinquecento a Firenze. Tra Michelangelo, Pontormo e Giambologna
Una straordinaria mostra dedicata a un’epoca di grande vivacità culturale ed estro creativo

In evidenza
Ultimo atto di una trilogia apertasi con Bronzino nel 2010, una mostra per celebrare una straordinaria epoca culturale, il Cinquecento, con tutte le sue inquietudini e contraddizioni.
- Un viaggio nella storia figurativa del Cinquecento
- Il racconto di una Firenze tra la Controriforma e la figura di Francesco I de’ Medici
- Il Dio fluviale di Michelangelo Buonarroti
- L’esposizione straordinaria del Compianto sul Cristo morto di Agnolo Bronzino
- Tanti capolavori provenienti dalle più importanti collezioni al mondo
Maggiori informazioni
La mostra apertasi a settembre 2017 a Palazzo Strozzi racconta un secolo, il Cinquecento, con tutte le sue inquietudini e contraddizioni, con i suoi pittori e scultori, con i suoi eruditi ed intellettuali, con i suoi uomini di potere e di Chiesa, con i suoi committenti e collezionisti d’eccezione. Racconta un secolo ricco di storia, di contrasti e di dialogo, di grande varietà stilistica e tematica, di grande innovazione e sperimentazione linguistica.
Una stagione unica, segnata da un lato dagli effetti del concilio di Trento (dall’arte cioè della Controriforma che un pregiudizio antico ha sempre giudicato solo ed esclusivamente bigotta) e dall’altro dalla figura di Francesco I de’ Medici, uno dei più geniali rappresentanti del mecenatismo di corte in Europa, uomo aperto al mito e insieme alle scienze.
Le prime due sale aprono con i maestri grandi di inizio secolo, con coloro, ovvero, che indicarono la strada – o per meglio dire le strade – agli artisti di nuova generazione. Ed ecco allora sfilare, l’uno dietro l’altro, Michelangelo Buonarroti con il Dio fluviale da Casa Buonarroti, Andrea del Sarto con la Pietà di Luco dalla Galleria Palatina, Baccio Bandinelli con il bel Mercurio proveniente dal Louvre a Parigi e, in un confronto assolutamente inedito, Rosso Fiorentino con la Deposizione da Volterra, Pontormo con la Deposizione da Santa Felicita e Bronzino con il Compianto sul Cristo morto da Becançon.
Con la terza sala si entra, invece, nel vivo dell’esposizione e del secolo, con tutta una serie di tavole che ci parleranno della Firenze degli anni Sessanta, una città dominata da Cosimo I de’ Medici e ligia alle nuove prescrizioni post tridentine. Capiremo che in questi anni si erano stabilite regole precise per le opere d’arte sacra: bisognava che i soggetti fossero ben comprensibili e le composizioni chiare e semplici di modo che i fedeli si sentissero emotivamente partecipi dell’evento divino. Ma scopriremo anche come, a dispetto di regole comuni, ogni artista lavorasse secondo le proprie inclinazioni, portando avanti, con risultati straordinari, le proprie ricerche: sul colore e sulla luce, ad esempio, Girolamo Macchietti, sul naturale Santi di Tito, sulla raffinatezza e umana eleganza Alessandro Allori.
E, di sala in sala, noteremo che gli stessi artisti chiamati a lavorare alle pale dei nuovi altari delle chiese fiorentine, furono gli stessi – spesso legati a Francesco I – che affrontarono anche temi privati e profani, ritratti, complesse allegorie o leggendari miti, talvolta di sapore squisitamente sensuale, come nel caso dell’Amore e Psiche di Jacopo Zucchi. Ci stupirà constatare di come non si sentisse conflitto alcuno nel praticare, con lo stesso impegno poetico, l’arte sacra e quella profana, nel figurare, come si sarebbe detto in quel lontano XVI secolo, ora la “lascivia” ora la “divozione”.
E arriveremo così, in un crescendo di opere di temi di artisti e di bellezza, allo scadere del Cinquecento, nella consapevolezza di aver percorso una strada e di aver visto piantare quei semi che, raccolti, non potevano non portare a risultati altissimi di svolta e modernità come quelli di Pietro Bernini nel San Martino divide il mantello con il povero o del Cigoli nel suo Martirio di san Giacomo e Josia.
La mostra è terminata
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