L’Adorazione dei Magi (o Pala Strozzi) è un dipinto a tempera su tavola realizzato nel 1423 da Gentile da Fabriano (Fabriano, 1370 circa – Roma 1427), che lo eseguì per il ricco banchiere fiorentino Palla Strozzi. Capolavoro del gotico internazionale, è oggi conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
Sommario
Una straordinaria cappella di famiglia
Nel 1417 era morto il ricco banchiere e mercante fiorentino Noferi (Onofrio) Strozzi. Nel suo testamento aveva lasciato disposizioni per essere sepolto nella cappella di famiglia, che voleva realizzata all’interno della chiesa di Santa Trinita. Il figlio Palla, deciso ad onorare la memoria e la volontà paterna, chiamò i più grandi artisti del tempo ad eseguire questo grandioso progetto. Lorenzo Ghiberti e Michelozzo di Bartolomeo furono incaricati dell’architettura mentre a Gentile da Fabriano, dietro compenso di 150 fiorini d’oro, venne allogata la pala per l’altare principale. Di lì a poco una nuova prestigiosa commissione avrebbe arricchito la cappella: Lorenzo Monaco ebbe l’incarico di eseguire un’opera da collocare sul secondo altare ma la sua prematura scomparsa, nel 1424, gli impedì di portarla a compimento. A lui subentrò, nel 1432, Beato Angelico, che realizzò per Palla Strozzi uno dei suoi più grandi capolavori, la Deposizione dalla croce.
Il committente: l’umanista Palla Strozzi
Palla Strozzi era uno degli uomini più in vista della Firenze del primo Quattrocento. Dal padre aveva ereditato una immensa fortuna economica e il suo patrimonio immobiliare includeva, oltre alle residenze cittadine, anche le ville di campagna della Petraia e di Poggio a Caiano. Non stupisce quindi che nella dichiarazione al Catasto del 1427 figurasse come il cittadino più ricco di Firenze.
Il suo ruolo prominente gli consentì anche di svolgere numerosi incarichi pubblici e ambascerie per la Repubblica fiorentina: fu a Venezia, Ferrara, Siena e Napoli, dove grazie alle sue straordinarie doti diplomatiche, si guadagnò l’investitura a cavaliere.
Fu uno dei massimi promotori dello Studio fiorentino, l’istituzione universitaria che dal 1420 era posto sotto l’alto patronato dell’Arte di Calimala.
Palla Strozzi fu anche uomo di grande cultura e venne in contatto con i più importanti intellettuali dell’epoca: da Coluccio Salutati a Niccolò Niccoli, da Leonardo Bruni a Cosimo il Vecchio dei Medici, cui lo legava la grande passione per i testi classici. Chiamò a Firenze molti dotti bizantini per incentivare lo studio della lingua greca ed avere assistenza nella traduzione della sua ricca collezione di codici. Scelse come precettore dei propri figli Tommaso Parentucelli da Sarzana che, molti anni dopo, sarebbe divenuto papa con il nome di Niccolò V.
Dotato di autorevolezza ed equilibrio, vide rovesciata la sua sorte nel 1434, quando Cosimo il Vecchio rientrò a Firenze dal suo breve esilio e divenne de facto il signore della città. Pur non avendo alcuna responsabilità diretta nelle vicende che avevano portato all’allontanamento del Medici, Palla Strozzi venne colpito da un bando che lo costrinse a riparare a Padova. Qui proseguì la sua attività pubblica e di mecenate fino alla morte, che lo colse nel 1462.
Gentile da Fabriano, artista cortese
Gentile da Fabriano era giunto a Firenze nell’aprile del 1420, artista ormai pienamente maturo e forte delle esperienze fatte a Venezia e a Brescia. Il suo linguaggio, prezioso e ricercato, si distingueva certo dalle novità introdotte dalla contemporanea arte fiorentina, quali la solida costruzione dello spazio propugnata da Brunelleschi o l’interpretazione in chiave drammatica dell’arte classica nella scultura di Donatello e nella pittura di Masaccio. Gentile risentiva, invece, degli influssi della pittura d’Oltralpe e di Boemia, di quel gusto per il racconto della raffinatezza e dell’eleganza che dava vita ad un mondo sognante e cavalleresco.
Per questo viene considerato oggi uno dei massimi interpreti del gotico internazionale o cortese, che è specchio ed interpretazione di quel mondo animato da dame e cavalieri e allietato da giochi, cacce e fasti, che era quello delle piccole corti europee. In esso non c’è spazio per una profonda indagine della natura umana e delle sue sconvolgenti passioni. L’attenzione è invece tutta rivolta alla descrizione dei costumi, alla ricercatezza dei colori e all’attenta osservazione delle piccole cose, dai fiori alle erbe, dai gioielli ai disegni dei tessuti.
Le fonti per la descrizione del viaggio
Sono due gli scritti a cui Gentile da Fabriano, senza dubbio dietro indicazioni di Palla Strozzi, potè ispirarsi per rappresentare il viaggio dei Magi: il Vangelo di Matteo e la Historia trium regum (1364), opera del teologo tedesco e monaco vallombrosano Giovanni di Hildesheim. In particolare è fondamentale questo ultimo testo, dal momento che raccoglie l’intera tradizione cristiana dei Magi e ne fissa l’aspetto e le caratteristiche: Gaspare, il più giovane e dalla pelle nera, porta in dono la mirra, Baldassarre, l’uomo maturo, reca con sè l’incenso ed infine Melchiorre, il primo ad inginocchiarsi di fronte al Bambino, ed il più anziano dei tre, offre l’oro.
L’Adorazione dei Magi, un tema molto amato a Firenze
Il soggetto dell’adorazione dei Magi è un tema ricorrente tra gli artisti fiorentini o attivi a Firenze nel Quattrocento. Non solo permetteva di raccontare con immediatezza la ricchezza e il gusto della classe mercantile ormai al potere ma era anche un richiamo all’attività da loro esercitata. I Magi, i tre Re provenienti dall’Oriente, che avevano dovuto affrontare un lungo e difficoltoso viaggio per presentare i loro doni al Bambino appena nato, erano considerati santi protettori dei mercanti, costretti spesso ad avventurarsi lontani da casa per esercitare i loro commerci.
Inoltre a Firenze, già a partire dalla fine del Trecento, si celebrava, con cadenza all’incirca triennale, la festa dei Magi: il giorno dell’Epifania un festoso corteo correva per le vie cittadine, a memoria del viaggio compiuto dai tre re. Dal 1417 la celebrazione solenne venne posta sotto il controllo della Signoria, che decise di istituire a tale scopo la “Compagnia dei Magi”, detta anche “della Stella”. Ad essa, che aveva sede presso il Convento di San Marco, appartenevano personalità di spicco della vita cittadina, come Poliziano, Landino, Acciaiuoli e molti altri umanisti. Furono però Cosimo il Vecchio, Piero il Gottoso e Lorenzo il Magnifico a dare nuovo impulso alla cerimonia e a sfruttarla scenograficamente come occasione per sottolineare il potere politico ed economico della famiglia e le ambizioni principesche della dinastia medicea.
Un racconto minuto e prezioso
Il tema sacro dell’Adorazione dei Magi, che si sviluppa lungo le tappe compiute dal corteo festoso ed elegante, viene sapientemente interpretato da Gentile da Fabriano al di là del suo significato religioso e si trasforma nella celebrazione della ricchezza e del gusto ricercato del committente. In virtù della sua investitura a cavaliere Palla Strozzi era esentato dal rispetto delle leggi suntuarie, che limitavano l’ostentazione del lusso, e poteva fare sfoggio della ricchezza delle sue vesti e della preziosità dei suoi gioielli. Ed ecco che la tavola si arricchisce di dettagli in oro ed argento, incisi e punzonati direttamente sulla superficie pittorica oppure lavorati a rilievo su applicazioni in pastiglia, una miscela di gesso e colla.
I personaggi, abbigliati secondo la moda dell’epoca, si dispongono non secondo successivi piani di profondità ma piuttosto lungo una diagonale che conduce alla Sacra Famiglia, e che separa la scena principale dell’Adorazione dagli episodi precedenti del lungo viaggio intrapreso dai Magi. E’ la luce a suggerire l’idea di profondità, illuminando con il suo bagliore i personaggi in primo piano e calando nella penombra quelli rimasti in fondo al corteo.
Un’attenzione alla realtà minuta delle cose traspare in tutta la composizione, dalla resa dei tessuti e delle stoffe alla cesellature dei gioielli e delle bardature, dalla descrizione delle piante e dei fiori alla consistenza dei piumaggi e delle pelli degli animali.
Una storia ad episodi
La storia raccontata da Gentile da Fabriano è una storia ad episodi, che ha inizio sotto il primo arco con l’avvistamento, dalla sommità del monte Vettore, della stella cometa, che guiderà il corteo lungo il suo cammino. La cavalcata procede poi nella lunetta centrale, dove vediamo i Magi e il loro numeroso ed animato seguito muoversi attraverso i dolci declivi di una campagna sapientemente coltivata. Sullo sfondo si vedono le mura di Gerusalemme, prima tappa del loro viaggio. Ed ecco nuovamente, nella terza lunetta, i protagonisti della nostra storia, ammantati nelle loro vesti dorate, che si apprestano a superare a dorso dei loro destrieri il ponte levatoio che permetterà loro di entrare nella città santa.
Gaspare, Melchiorre e Baldassarre giungono finalmente a destinazione, di fronte alla capanna alle porte di Betlemme, dove hanno trovato riparo Maria e Giuseppe con il loro Bambino. La stella brilla appena al di sopra della stretta tettoia e rischiara con la sua luce la grotta, dalla quale fuoriescono il bue e l’asinello.
La scena principale
La scena si svolge ormai in primo piano, davanti agli occhi dell’osservatore, e lo sguardo si perde nella ricchezza dei dettagli e nella varietà della narrazione. Alle spalle della Madonna, due ancelle osservano con cura il dono appena presentato da Melchiorre, quasi a volerne verificare l’effettiva preziosità. Dietro alle donne, è una capanna dalla prospettiva incerta, che più che essere architettura reale è un diaframma verso il paesaggio, come testimoniano i rami fioriti che si intravedono nel portone centrale. Gesù, sorridente e vivace come un bambino reale, accarezza con la sua manina la testa pelata del Mago più anziano, che ha già posato a terra la sua corona. Le vesti dei tre Re sono finemente lavorate e cesellate, impreziosite da fantasie variegate e alla moda. Un giovane scudiero è chino a terra per togliere gli speroni a Gaspare, immortalato al centro della scena in una posa da elegante damerino. Dietro al gruppo dei Magi due personaggi, altrettanto riccamente vestiti, assistono all’episodio sacro piuttosto imperturbabili. Il più anziano, sulle cui mani è posato un falcone, è Palla Strozzi mentre il giovane al suo fianco, che guarda dritto verso l’osservatore, viene identificato con il figlio Lorenzo. Alle loro spalle prosegue il corteo, con i cavalli che si agitano sulla destra, tanto da spaventare il levriero bianco che si è accucciato tra le loro zampe. Giaguari, scimmie e rapaci fanno capolino in mezzo ai personaggi, suscitando il loro stupore e la loro preoccupazione, e andando ancora una volta ad evocare un mondo di fiaba.
Le storie della predella
Nelle tre tavole della predella, che corre lungo la base della pala d’altare, sono narrati alcuni fatti dell’infanzia di Gesù: la Natività, la Fuga in Egitto e la Presentazione al Tempio (quest’ultima, trafugata dai francesi in epoca napoleonica e conservata al Museo del Louvre di Parigi, è esposta in copia alla Galleria degli Uffizi).
La scena della Natività contrasta, nella sua essenzialità, con l’opulenza dell’Adorazione. Protagonista della piccola tavola è la luce, che rischiara la notte stellata di cui arriviamo a percepire il silenzio. E’ l’angelo, avvolto in una mandorla dorata, a far entrare con prepotenza la luce in questo notturno, uno dei primi della pittura europea. Egli illumina non solo il gregge e i pastori che ha destato ma estende il suo fascio luminoso fin innanzi alla capanna, andando a disegnare una profonda ombra sotto la tettoia e forti contrasti di chiaroscuro nel profilo della grotta. Il Bambino Gesù, adagiato semplicemente sulla nuda terra, è anch’egli fonte luminosa e rischiara la Madonna e gli animali intorno a lui, tutti impegnati a contemplarlo. Anche nella Natività è possibile notare il gusto per la narrazione di Gentile da Fabriano, che si fa evidente nell’ancella risvegliata dalla luce che emana il Bambino, verso cui rivolge lo sguardo, o nel San Giuseppe che si è richiuso nelle sue vesti per ripararsi dal freddo della notte.
Il pannello centrale della predella rappresenta la Fuga in Egitto. La Madonna, in groppa all’asinello, porta il suo bambino lontano da Betlemme per salvarlo dalla perfidia del re Erode, che ha deciso di massacrare tutti i bambini al di sotto dei due anni. Apre il piccolo corteo Giuseppe, che si volge a controllare l’andatura dell’animale, mentre due ancelle avanzano alle spalle della Madonna, distratte dal loro conversare ma attente a non far ricadere le vesti nella polvere della strada. Una luce dorata, che emana dal sole in rilevo in alto a sinistra, rischiara tutta la scena e illumina un cielo terso dal quale si stanno dissipando le ultime nubi in lontananza. Ancora una volta la profondità dello spazio non è ottenuta attraverso l’uso di mezzi prospettici ma grazie ad accorgimenti empirici. Il massiccio centrale contro il quale si stagliano i personaggi sottolinea la centralità del momento e divide la scena in più parti: a sinistra l’orizzonte si abbassa per dare l’idea di un paesaggio lontano mentre a destra la strada si snoda verso una città che percepiamo essere ormai prossima.
A far da sfondo alla Presentazione al Tempio non è più la natura ma un suggestivo panorama urbano. Al centro si erge il tempio a pianta centrale, circondato da un loggiato che permette di osservare la scena che si svolge al suo interno. Una lampada ad olio appesa al soffitto diffonde una luce dorata sul vecchio sacerdote Simeone, che stringe tra le braccia Gesù, intento a divincolarsi nel desiderio di ricongiungersi alla madre.
Sullo sfondo vi sono edifici che presentano nella loro architettura sia elementi gotici, come le bifore e le sottili colonne, che rinascimentali, quali gli archi a tutto sesto del loggiato, forse un richiamo al brunelleschiano Spedale degli Innocenti.
Sulla sinistra incedono elegantemente due donne vestite con gli abiti tipici della borghesia agiata. A far da contraltare ai due personaggi femminili, sul lato opposto, due mendicanti vestiti di stracci stanno chiedendo l’elemosina.
Anche in questa tavoletta è evidente lo studio della luce e il contrasto tra il tenue bagliore della lampada del tempio e il freddo e chiaro rischiarare della luce del giorno che si riflette in maniera illusionistica sui dischi dorati che decorano le arcate del tempio.
Una cornice ricca di sorprese
La Pala Strozzi è racchiusa entro una elaborata cornice in legno intarsiato e dorato, costituita da tre archi a tutto sesto sormontati da cuspidi e da due pilastrini ottagonali ai lati, la cui superficie è movimentata da inserti polilobati.
All’interno di ogni cuspide è un tondo, sovrastato da un angelo e fiancheggiato dalle figure di due profeti. Al centro è raffigurato Gesù Cristo Redentore benedicente, con ai lati Mosè e Re Davide, mentre i due tondi laterali racchiudono i protagonisti dell’Annunciazione: a sinistra l’arcangelo Gabriele, con i profeti Ezechiele e Michea, e a destra la Vergine annunciata, ai cui piedi sono Baruc e Isaia.
Nei pilastri laterali, al posto dei tradizionali santi sovrammessi tra di loro, Gentile da Fabriano sceglie di rappresentare una incredibile varietà di fiori, che gli incavi scolpiti nel legno non riescono a contenere. Tra i bagliori dorati della cornice, contro uno sfondo verde scuro, si stagliano fiori profumati e umili varietà di campo, persino fiori di frutti e di legumi, descritti con incredibile attenzione e curiosità naturalistica, tanto da poter essere considerati come una delle prime interpretazioni di natura morta.
Al di sotto della scena principale, lungo la cornice, l’opera è firmata e datata: “OPUS GENTILIS DE FABRIANO M CCCC XXIII MENSIS MAIJ”.