Il tema del gioco è stato spesso indagato dagli artisti, nel corso di vari secoli, come spazio ludico o come cerimoniale di una certa categoria sociale: esso veniva considerato, infatti, lo strumento ideale non solo per indagare la realtà e raccontare la società del tempo, ma anche per evidenziare una certa morale attraverso il confronto tra i diversi tipi umani, lo scaltro e l’ingenuo, il buono e il cattivo. Tale soggetto, con la sua lunga tradizione figurativa, ebbe larghissima fortuna soprattutto a partire dal XVII secolo. Andiamo dunque a scoprire alcuni dipinti che, tra lo scadere del Cinquecento e il Novecento, raccontano, in diverse declinazioni, questo intrigante soggetto!

La “pittura di genere” e il racconto della vita quotidiana

Si è detto che nel XVII secolo il tema del gioco ebbe larghissima fortuna. Ma non fu l’unico soggetto “popolare” ad avere tale successo. Difatti nei primi decenni del Seicento nacque e si diffuse, attraverso una fitta rete di scambi culturali in tutta Europa, la cosiddetta “pittura di genere”. Un termine, questo, che vuole indicare l’allontanamento degli artisti dai consueti temi sacri, mitologici o celebrativi, a favore del racconto di episodi e personaggi, spesso del popolo, tratti dalla vita di ogni giorno. Ed ecco che mendicanti, contadini, ladri, prostitute o semplici avventori, diventano, da quel momento, protagonisti delle opere d’arte e lo rimangono fino ai giorni nostri. Come dimenticare infatti i mitici Mangiatori di patate di Vincent Van Gogh, Il Pescatorello di Vincenzo Gemito o Il mendicante di Livorno di Amedeo Modigliani? Il popolo, dunque, dal Seicento, entra di prepotenza nel mondo artistico e i giocatori d’azzardo cominciano la loro ascesa, per vincere, in preferenza, il primo posto!

Caravaggio e i suoi “Bari”

Nel 1597 Michelangelo Merisi detto Caravaggio, nato e cresciuto a Milano e giunto a Roma solo qualche anno prima, conobbe il cardinal Francesco Maria del Monte, uomo di grande cultura e appassionato d’arte che, incantato dalla pittura del giovane lombardo, decise di invitarlo a vivere nel suo palazzo, fornendogli protezione e presentandolo alla sua elitaria cerchia di amicizie, dandogli insomma “luogo onorato in casa fra i gentiluomini”. In questo ambiente, circondato dall’alta società romana, Caravaggio licenziò diverse opere, divenendo, in breve tempo, artista molto richiesto, a dispetto della scelta dei temi che l’artista andava facendo e del linguaggio già rivoluzionario che stava adottando. Tra i dipinti eseguiti per il mecenate, spicca senz’altro l’olio su tela raffigurante i Bari, un’opera che, forse proprio in virtù della scelta di un tema così familiare e diffuso, ebbe grandissima fortuna, divenendo da subito modello replicabile per i numerosissimi seguaci.

Una rivoluzione linguistica in atto

E’ una partita di carte quella che raffigura Caravaggio nel dipinto. Ma, a ben guardare, è una truffa ben orchestrata da due giocatori navigati per raggirare un ingenuo, di buona famiglia, forse alla sua prima esperienza. Il giovane è intento a scegliere la carta da giocare ed è talmente concentrato in quel suo meditare, da non accorgersi della complicità tra l’avversario e quel “brutto ceffo” accanto a lui, impaziente di segnalare la mossa al suo complice. L’atmosfera è tesa oltre misura, tanto che si riesce a percepire l’urgenza dei due bari, resa ancor più evidente dal loro protendersi, fisicamente, verso il giovane. Alla serena bellezza del ragazzo, con le sue gote arrossate e le mani ben curate, si contrappone la grottesca bruttezza dell’anziano truffatore che, con lo sguardo ancora rivolto alle carte, fa un segno al connivente. Questo è sicuramente il personaggio più teso: di spalle all’osservatore, ha il  braccio sinistro allungato sulla tavola, con una mano stringe le carte, mentre con l’altra è pronto a prenderne una tra quelle nascoste sotto la cintura.

Il vivido spaccato della vita seicentesca romana, restituitoci da Caravaggio, il fermo immagine di un’azione nel momento di compiersi, la caratterizzazione degli abiti dei vari personaggi – memorabile il dettaglio dei guanti usurati -, il perfetto connubio tra la finezza d’esecuzione e la resa realistica delle figure, così come la fortissima teatralità della scena e la luce chiara che invade lo spazio, provenendo da una fonte esterna, tutti questi elementi raccontano di una rivoluzione linguistica in atto che cambiò il corso della storia.

L’antenato del poker

Viene da chiedersi, osservando i Bari, quale gioco siano impegnati a vincere i due contendenti. Le poche carte visibili – un 4 di quadri sul tavolo, un 7 di cuori e un 6 di fiori dietro la schiena del truffatore giovane – non permettono un’identificazione sicura. Tuttavia alcuni aspetti, tra cui la suspense della scena, fanno propendere per il gioco, molto diffuso nel Seicento, della Primiera, l’antenato, in pratica, del moderno poker.

Se poi ci domandassimo con quale carte si sta giocando la partita, dovremo rispondere con quelle francesi, che mostrano difatti i quattro semi (cuori, quadri, picche e fiori), a differenza delle italiane, ben più antiche, con i semi di quelle che oggi chiamiamo napoletane: denari, spade, coppe e bastoni.

La febbre del gioco e il caravaggesco Bartolomeo Manfredi

A partire da Caravaggio, la febbre del gioco, tanto diffusa nella Roma del XVII secolo, divenne uno dei soggetti prediletti dagli artisti, primo tra tutti Bartolomeo Manfredi. Dal Merisi, Bartolomeo derivò anche il tema della truffa, spesso usato per condannare, moralmente, il gioco d’azzardo, considerato un’attività non solo pericolosa, ma anche deplorevole. Tale disapprovazione viene spesso sottolineata, nei dipinti, attraverso l’inserimento di loschi individui, con tratti somatici fortemente marcati e quasi grotteschi; o anche attraverso il denaro poggiato sul tavolo da gioco ad indicare il carattere venale e dunque riprovevole della scena rappresentata. Da tempo ormai si insisteva sull’associazione del gioco al vizio e quindi alla perdizione. Esemplare, a tale proposito, una rima quattrocentesca del letterato Francesco Scarlatti che sottolinea la cattiva influenza del gioco delle carte e dei dadi: “Come può l’uom di giucare aver voglia / ché carte o dadi non hanno fermezza / e il giuoco è mobil com’al vento foglia? / Ma, quando e’ perde, e’ gli par tanta asprezza / e chi dice il contrario e’ non è il vero: / chi giuoca il mondo brama e Dio disprezza”.

I giocatori di carte degli Uffizi

Caravaggesco convinto, da subito impressionato dalla pittura aderente al vero del maestro lombardo, Manfredi ebbe larghissima fortuna presso i contemporanei, divenendo modello ed esempio importante per tutti quegli artisti, soprattutto stranieri, che giungevano a Roma dopo la morte del Caravaggio. Nel 1617 Bartolomeo realizzò una delle sue tante opere raffiguranti scene di genere, I giocatori di carte oggi conservati alla Galleria degli Uffizi.

Il dipinto presenta, anzi presentava – e capiremo poi il perchè – una classica scena di osteria: un gruppo di giovani uomini sono seduti intorno a un tavolo, mentre giocano a carte. I diversi personaggi sono ben caratterizzati, vestiti alla moda del tempo e ritratti da un punto di vista più distante rispetto ai Bari analizzati prima, modello indiscusso per opere di questo tipo. Del Caravaggio, Bartolomeo Manfredi preferì seguire la svolta stilistica che il pittore aveva compiuto nella Vocazione di San Matteo di San Luigi dei Francesi e difatti, nell’opera in oggetto, andò abbandonando la luminosità diffusa del primo periodo del maestro, preferendo contesti bui, caratterizzati da sprazzi di luce e forti contrasti chiaroscurali.

27 maggio 1993: la strage di via dei Georgofili

Il 27 maggio del 1993, nelle prime ore della notte, una bomba posizionata dentro un furgone esplose davanti all’Accademia di via dei Georgofili, causando la morte di cinque persone. Un attacco di stampo mafioso che aggrediva il cuore della città di Firenze. Se la Torre dei Pulci, sede dell’Accademia dei Georgofili, crollò totalmente, gravi danni subì anche il Corridoio Vasariano e alcune opere in esso conservate. Tra queste, i Giocatori di carte del Manfredi: il dipinto era appeso infatti proprio di fronte alla finestra i cui vetri furono frantumati dall’esplosione. Subito dopo l’attentato, l’opera fu messa in sicurezza e coperta con carta velina; così è rimasta per molti anni. Il dipinto era andato in frantumi ed era necessario rimettere insieme i pezzi per riuscire a ricostruire, anche se solo in parte, la superficie pittorica. Oggi, dopo un attentissimo restauro, il dipinto, nuovamente collocato all’interno del Corridoio, riveste un altissimo valore simbolico contro la strategia del terrore.

David Teniers il Giovane e le sue taverne

Se la pittura di genere ebbe largo successo in Italia, dove la Chiesa continuò a condannare certe raffigurazioni che considerava, spesso a torto, inneggianti la deprecabile pratica del gioco, nell’Europa del Nord, nelle Fiandre, quella raggiunse livelli altissimi. Uno dei più importanti protagonisti del XVII secolo della pittura fiamminga fu David Teniers il Giovane. Nato ad Anversa e formatosi col padre, l’artista divenne presto famoso e, negli anni della maturità, fu nominato pittore di corte e direttore delle collezioni dell’arciduca Leopoldo Guglielmo d’Austria, governatore dei Paesi Bassi spagnoli. Pur producendo opere di diversa  tematica, il Teniers fu sempre profondamente attratto dal racconto di scene di vita quotidiana e, soprattutto, da quelle ambientate all’interno di taverne, luogo di incontro e di svago della borghesia mercantile che fu tra la sua più cospicua committenza.

Uno sguardo disincantato tra il vero e il comico

Tra i lavori dedicati a scene di interni, dove di volta in volta il Nostro andava a evidenziare una particolare attività ricreativa, sono I giocatori di carte della Galleria Sabauda di Torino. Qui, nel tipico spaccato di una taverna buia e rustica, raccontata con grande sensibilità e attenzione, sono figurati, in primo piano, due popolani intorno a un tavolo che giocano a carte. Intorno a loro altri tre uomini assistono alla partita, bevendo e fumando, mentre un quarto personaggio sembra segnare il punteggio sulla parete. Il linguaggio semplice ed estremamente realistico usato dal Teniers viene accentuato dal tono cromatico dominante, il marrone, acceso solo da tocchi di blu, di rosso e di bianco nei vestiti e nei cappelli e dall’oro brillante di un paiolo. Tutto racconta, con toni talvolta comici e caricaturali, il vivere comune dell’epoca: dagli abiti dei protagonisti all’arredamento scarno dell’osteria, dalle botti di vino che si intravedono sullo sfondo all’anziano venditore sulla porta. Un’opera magistrale del fiammingo che certo non poco influenzò la cultura dell’epoca.

Da rovina a gradevole passatempo: il gioco secondo Goya

Se il gioco delle carte, nel XVII secolo, era spesso veicolo per raccontare la malvagità, la corruzione e la rovina, portando esso spesso alla violenza e persino alla morte, nel secolo successivo questo aspetto si andò attenuando e il gioco assunse il significato di un semplice e gradevole passatempo, amato da persone di ogni ceto sociale, dai nobili ai monaci, dai contadini ai soldati, dai bambini alle donne. A raccontarci il cambiamento è oggi presente uno dei più noti pittori spagnoli, attivo a Madrid tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, Francisco de Goya y Lucientes

Figlio di un maestro doratore, Goya nacque a Fuendetodos, una piccola cittadina rurale nei pressi di Saragozza, in Aragona, nel 1746. Poco conosciamo della sua formazione, ma sappiamo per certo che, nel 1771, compì il tradizionale viaggio a Roma. Pochi anni più tardi, grazie all’aiuto dell’amico e maestro nonché cognato, Francisco Bayeu, il Nostro fece il suo ingresso alla corte di Spagna, arrivando a rivestire, nel giro di un decennio, l’alta carica di pittore del re e conquistando, di conseguenza, non solo grande popolarità ma anche un’indubbia prosperità economica. La serenità raggiunta in questo periodo, guastata ben presto da una malattia che cambiò profondamente la maniera dell’artista di guardare e rappresentare il mondo, influenzò decisamente la sua produzione artistica che si volse a rappresentare episodi di vita mondana con colori fluidi e brillanti.

I giocatori di carte del Prado

Tra le opere di questo primo periodo è un cartone per arazzo raffigurante I giocatori di carte, datato 1778. Esso doveva essere collocato nella sala da pranzo del palazzo reale di El Pardo e forse, proprio in virtù della sua destinazione, Goya scelse un soggetto “leggero”. Furono oltre sessanta i cartoni che l’artista, in poco meno di vent’anni, fornì all’Arazzeria Reale e tutti vennero dedicati a scene di vita madrilena, interpretati in modo sereno e vivace. Piacquero molto agli aristocratici di corte e segnarono di fatto l’inizio del  del maestro

Goya sceglie di rappresentare, qui, una scena quasi idilliaca, tipica di quella cultura che viene chiamata comunemente “rococò”. In una serena giornata di sole, infatti, quattro personaggi siedono per terra, all’ombra di un albero, a giocare a carte. Elegantemente abbigliati secondo la moda del tempo e concentrati sulla partita, sono assistiti da due amici che osservano divertiti il gioco. L’atmosfera è spensierata, quasi poetica e a renderla tale quel cielo rosato che sembra avvolgere e dominare l’intera composizione. La pennellata veloce, i colori tenui ma vibranti e quella maniera di dipingere quasi ad abbozzo, rendono quest’olio su tela una delle opere meglio riuscite del maestro spagnolo.

Il fascino delle carte in Paul Cézanne

Era il 1895 quando in Francia, uno dei pittori più noti e più amati dal grande pubblico, Paul Cézanne, padre del cosiddetto Post-Impressionismo, diede vita ai suoi celebri Giocatori di carte. Un soggetto, questo, che dovette affascinare oltremodo il maestro, se, nel giro di pochi anni, gli dedicò ben cinque versioni, diverse nella loro odierna collocazione, nel formato, nel numero di personaggi che popola la scena e nella definizione dello sfondo. Viene da chiedersi perchè l’artista si sentisse così attratto da questo tema di lunghissima tradizione e si può ragionevolmente supporre che questo soggetto si prestasse, meglio di altri, alle ricerche portate avanti dall’artista in quel lasso di tempo: la costruzione, cioè, di una “armonia parallela” come ebbe a scrivere Giuliano Briganti.

Il distacco dall’Impressionismo e la nascita di una nuova lingua

La pittura di Cézanne, nato a Aix in Provenza il 19 gennaio 1839 e qui morto il 22 ottobre 1906, si manifestò in tutta la sua originalità e forza innovativa negli anni Ottanta, dopo la fase romantico-realista degli esordi, con i suoi forti contrasti di luce e ombra, e quella impressionista degli anni Settanta, già caratterizzata, peraltro, dall’energia della pennellata e dalla solidità dell’impianto compositivo. Fu il fiasco alla mostra impressionista del 1877 a segnare, per Cézanne, l’inizio di una nuova fase di lavoro che vide accentuarsi l’interesse dell’artista per la sintesi geometrica del mondo reale e per quella sua riduzione delle forme della natura in volumi che si esplicita appieno nei suoi Ritratti o nelle sue famosissime Bagnanti e che porrà le basi per le future Avanguardie, prima tra tutte il Cubismo. Il problema, per Cézanne, non era riprodurre la natura o imitarla, ma partire da essa per costruire una realtà autonoma rispetto al modello, una perfetta sintesi di volumi e di studiati accostamenti cromatici.

I giocatori del Museo d’Orsay a Parigi

Due giocatori, seduti a un semplice tavolo di legno su cui è appoggiata una bottiglia di vino chiusa da un tappo di sughero, sono impegnati in una partita. Concentrati sulle proprie carte, ognuno chiuso nel proprio mondo, i due indossano abiti semplici e alla moda del tempo: quello di sinistra, con la pipa in bocca, veste una giacca e calza un cappello sulla testa, mentre l’altro giocatore, forse più giovane, veste in modo più disinvolto. L’atmosfera è ferma e immobile, quasi sospesa. Domina su tutto il silenzio. Il dipinto è costruito per piani e secondo complessi accordi di colore con dominanti di giallo-bruno nel giocatore di destra e di blu-violetto in quello di sinistra: questi ultimi toni sono ripresi nello sfondo con un effetto di assoluta coerenza cromatica. A ciò contribuisce anche lo stacco di colore della tovaglia rossa che, se da un lato divide i due giocatori, dall’altro costruisce un piano di raccordo tra i loro volumi. La bottiglia sul tavolo, sulla quale si riflette la luce, costituisce l’asse centrale della composizione. Essa separa lo spazio in due zone simmetriche ad accentuare ancora di più la posizione contrapposta dei giocatori.