Bianca Cappello (Venezia 1546? – Poggio a Caiano, 1587) fu la favorita di Francesco I dei Medici, che sposò in seconde nozze, divenendo così Granduchessa di Toscana. Discendente da famiglie appartenenti alla più prestigiosa nobiltà veneziana, giunse a Firenze a seguito di una rocambolesca fuga d’amore. La sua vita non fu priva di scandali e il forte ascendente che esercitava sul Granduca la rese oggetto di invidie, maldicenze e inimicizie presso la corte fiorentina.

La famiglia d’origine

Bianca era figlia di Bartolomeo Cappello e Pellegrina Morosini. All’età di dieci anni rimase orfana di madre e il padre contrasse un nuovo, vantaggiosissimo matrimonio con Lucrezia, ricca vedova della famiglia Grimani, un casato allora assai influente. Con la morte della madre, Bianca si vide privata dell’affetto necessario e venne relegata dalla matrigna al secondo piano del palazzo di famiglia.  A Venezia, infatti, era costume piuttosto diffuso tra le famiglie nobili di allevare le fanciulle in completo isolamento, così da proteggerle dal rischio di rapimenti e dalla dissolutezza dei costumi. Le giovani crescevano senza alcuna attenzione per la loro educazione e avevano diritto di uscire di casa solamente due volte l’anno, in occasione delle funzioni celebrate per la Pasqua e il Natale. E anche in questi casi, erano  scortate e protette dagli uomini di famiglia e celate agli sguardi estranei  da uno spesso velo bianco che ne copriva il volto.

Un amore impossibile

Visto il grande rigore con cui venne cresciuta, desta molto curiosità il fatto che la sedicenne Bianca sia rimasta coinvolta in una relazione clandestina. Galeotta fu la vicinanza della residenza dei Cappello con la sede del Banco Salviati, dal quale era separata solamente da uno stretto canale. Il giovane fiorentino Pietro Bonaventuri aveva trovato impiego in questa filiale, diretta dallo zio e probabilmente aveva avuto occasione di notare la bella ragazza che si affacciava dalle finestre del palazzo vicino.

Tutte le fonti sono concordi nell’attribuire a Bianca una grande bellezza, un’innata gentilezza e una certa intelligenza naturale che suppliva alla mancanza di cultura. Bianca inoltre era, almeno sulla carta, ricca. Sua madre, infatti, l’aveva resa beneficiaria nel  testamento, di una ragguardevole dote che, con gli interessi maturati negli anni, aveva raggiunto il valore di 6.000 ducati (basti pensare che, nel medesimo atto, una serva ne aveva avuti 15 per maritarsi!). Il Bonaventuri non si fece fermare dalle difficoltà oggettive o dalle differenze di condizione. Mostrando un certo spirito di iniziativa, arrivò a corrompere i servi di casa e riuscì ad ottenere le chiavi di alcune porte del palazzo, così da riuscire ad introdursi furtivamente e a incontrare segretamente Bianca.

Fuga e scandalo in laguna

Il 29 novembre 1563, con il favore delle luci dell’alba, i due giovani scapparono da Venezia a bordo di una gondola. Immediata fu la reazione di Bartolomeo Cappello, che cercò di trasformare una questione privata in un affare di stato, chiedendo alla Repubblica una punizione esemplare per lo straniero che aveva osato sottrarre e recare disonore a una delle figlie della Repubblica e invocando a gran voce la reclusione in convento per Bianca.  La punizione si abbattè sui complici presunti ed effettivi della coppia: sui servi che avevano agevolato la relazione e facilitato la fuga e su Giambattista Bonaventuri, lo zio di Pietro, che venne rinchiuso in carcere e mai più ne uscì.  Nonostante le denunce, gli esposti, l’aiuto invocato presso i parenti più potenti, nessuno dei familiari si mosse effettivamente sulle tracce dei giovani. Tanto che l’ambasciatore fiorentino di stanza a Venezia non poté fare a meno di annotare, in una relazione diretta al principe Francesco de’ Medici, che forse il grande clamore suscitato da Bartolomeo altro non fosse che un’astuta manovra per entrare in possesso della dote della figlia.

La triste realtà

Giunta a Firenze, Bianca dovette fare i conti con una realtà ben diversa da quella che l’amato Pietro le aveva lasciato intendere durante i loro incontri. La famiglia del marito poteva sì vantare origini nobili ed importanti ma era ormai decaduta: la suocera era inferma e il suocero, ser Zanobi, non aveva grandi ricchezze e non sarebbe di certo riuscito a sfamare due bocche in più. Per fare economia, infatti, venne subito licenziata la fantesca di casa e Bianca, cresciuta in mezzo al lusso, si vide così costretta a svolgere anche le mansioni più umili.

Ironia della sorte, la bella veneziana si trovava nuovamente segregata: la paura della vendetta da parte della Serenissima era tale, che i due giovani vivevano come prigionieri nella modesta abitazione dei Bonaventuri. Nel desiderio di tutelarli, ser Zanobi si adoperò per far celebrare un nuovo matrimonio tra i due secondo i dettami imposti dal Concilio di Trento, ritenendo non sufficienti il giuramento di fedeltà e lo scambio degli anelli che probabilmente erano già avvenuti nell’immediatezza della fuga. Pare che Bianca sopportasse con estrema dignità la nuova situazione, innamorata di quel marito che si era rivelato un imbroglione e al quale presto darà una figlia, che porterà il nome della mamma prematuramente scomparsa, Pellegrina.

La favorita

Alcuni biografi raccontano che fin da questi primi tempi Bianca ebbe modo di entrare in contatto con la famiglia Medici, e il suo destino di incrociarsi con quello di Francesco. Bartolomeo Cappello, infatti, aveva inviato un suo uomo di fiducia a Firenze per chiedere a Cosimo I di intervenire nella faccenda, che il Granduca liquidò come cosa privata, invitando semplicemente alla prudenza la giovane coppia. Le fonti non sono concordi nell’indicare l’occasione che portò all’incontro tra Bianca e Francesco. Sia che sia nato per un’iniziativa della donna, desiderosa di ottenere il perdono e la protezione del principe, oppure ricercato da Francesco stesso, ammaliato da tanta bellezza, è indubbia l’importanza del ruolo giocato dal Bonaventuri. Egli vide nella bella moglie un mezzo facile per ottenere privilegi e ricchezze e favorì in tutti i modi la relazione. Con il consueto spirito che caratterizza il popolo fiorentino, non tardò a circolare per le vie della città una canzoncina in merito: “Caterina, la miseria / T’ha ridotto grama e stanca / Ma la chiave d’arricchirsi / L’ha il marito della Bianca”. La relazione di Francesco de’ Medici con Bianca Cappello ebbe inizio nel 1565 e durò per tutto il resto della vita dei due amanti.

Giovanna d’Austria

Il 1565 fu in realtà un anno fitto di impegni per Francesco. Per lui si era scelta una sposa di altissimo lignaggio, Giovanna d’Austria, figlia di Ferdinando I d’Asburgo. Francesco compì un lungo viaggio per vincere le ultime reticenze dell’imperatore e conoscere la fidanzata, che divenne sua sposa nel dicembre dello stesso anno. Giovanna portò finalmente al casato fiorentino quella nobiltà inseguita da tempo. Ma per quanto riguarda il resto della sua persona, la competizione con la rivale Bianca fu decisamente in suo sfavore. La sua appartenenza alla casa imperiale la rendeva altera e insofferente nei confronti del piccolo ducato toscano e dei suoi sudditi. Non era certo colta e non si distingueva per intelligenza, tanto che non riuscì mai a condividere con il marito le sue passioni per le scienze e le arti e fece sempre fatica ad esprimersi correttamente nella lingua del suo nuovo stato. La natura, inoltre, non l’aveva dotata di grande bellezza: pare fosse afflitta da una forma di nanismo e avesse la spina dorsale deformata. Anche nel dare discendenza maschile al Granduca arrivò seconda: il primo – e unico – maschio della coppia, Filippo, nacque solo nel 1577, a quasi un anno di distanza da Antonio, il figlio nato dalla relazione tra Bianca e Francesco.

Un palazzo per Bianca

La passione di Francesco per la bella veneziana  fu tale che non compì mai alcuno sforzo per nascondere – almeno in pubblico – la sua relazione. Più volte il padre Cosimo dovette intervenire per richiamare il figlio a una maggiore prudenza e discrezione ma tutti i suoi richiami non sortirono alcun effetto. Anzi, nel 1566 Francesco favorì il trasferimento di Bianca e del marito in un palazzo in via Maggio, a poca distanza dalla residenza granducale di Pitti. La nuova dimora venne comprata da Pietro Bonaventuri, che ormai rivestiva ruoli ufficiali a corte, per la somma di 1800 fiorini. Fu l’architetto Bernardo Buontalenti (1531-1608) a dare unità ed abbellire le strutture preesistenti mentre la decorazione graffita della facciata venne affidata a Bernardino Poccetti (1548-1612). È suggestiva l’ipotesi, che sfuma nella leggenda popolare, che in origine esistesse un passaggio sotterraneo tra le due residenze, per facilitare gli incontri segreti tra i due amanti.

Morte e scandali alla corte medicea

Il 1572 fu un anno difficile per Bianca. La granduchessa Giovanna era venuta a conoscenza della relazione scandalosa del marito, resa ancora più umiliante dal fatto che fino a quel momento lei, ignara di tutto, aveva preso in simpatia Bianca, richiedendo spesso la sua compagnia. Giovanna scrisse lettere colme di rabbia ed offesa all’imperatore e al suocero, Cosimo I, che si adoperarono per placare la sua ira. Nel frattempo Bianca, travolta dallo scandalo, si vide costretta a lasciare Firenze e si rifugiò a Villa La Tana, a poca distanza da Bagno a Ripoli.

Non passò molto tempo che venne assassinato Pietro Bonaventuri, ucciso da un manipolo di sicari mentre rientrava nei suoi appartamenti dopo una notte di passione passata con Cassandra, vedova di un Bonciani. Piero aveva avuto l’ardire di vantarsi pubblicamente della relazione con la donna e i Ricci, parenti del defunto marito, avevano deciso di intervenire per difendere l’onore e la reputazione della famiglia. L’offesa era stata lavata con la benedizione del Granduca, che aveva già messo in guardia più volte il Bonaventuri invitandolo ad adottare un atteggiamento più discreto e rispettoso.

Bianca vedova

Alla morte del Bonaventuri la famiglia Cappello dimostrò ancora una volta la sua attenzione interessata: mentre il suocero si faceva avanti per reclamare tutte le proprietà acquistate negli ultimi anni dal figlio – ma Francesco I fu prontissimo a presentare un atto ufficiale per dimostrare che tutto era stato acquistato con il denaro di Bianca -, il padre  si affrettò ad informarla che avrebbe potuto fare ritorno a Venezia. Non senza aver prima venduto tutte le sue proprietà (ed erano tante) e versato il ricavato nelle banche veneziane!

Bianca però non era più la fanciulla ingenua che era scappata dalla dimora paterna: il rischio della reclusione in un convento era ancora alto e si disse disposta a rientrare a Venezia solo a condizione di aver prima contratto un nuovo matrimonio da celebrarsi a Firenze. Le esitazioni del padre, che evidentemente ancora una volta mirava solamente ad incamerare i beni della figlia, e un corteggiamento ancora più aperto e sconsiderato di Francesco, che secondo gli ambasciatori stranieri si comportava più da fanciullo che da uomo, convinsero Bianca a rimanere a Firenze.

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Palazzo Medici Riccardi

Nascita di Antonio

Il legame con Francesco si fece sempre più solido e a Bianca si rivolgevano ormai non solo i nobili fiorentini in cerca del favore del Granduca ma anche illustri personaggi di altre corti straniere. Il 29 agosto 1576 nacque Antonio, l’unico figlio che nascerà dalla loro unione. Finché i genitori rimasero in vita, le sue origini non vennero mai messe in dubbio, anzi Francesco arrivò ad avviare delle trattative con Filippo II di Spagna perchè gli concedesse il titolo di principe di Capestrano, nel regno di Napoli, nella sua qualità di figlio del granduca.

Fu quando salì sul trono della Toscana Ferdinando I che il nuovo sovrano iniziò raccogliere prove e memorie per gettare fango su questa nascita. E trovò chi fu pronto a giurare che Bianca avesse simulato la gravidanza e che Antonio fosse in realtà il figlio di una serva. Ma quei documenti, spesso contraddittori e confusi, furono raccolti da Ferdinando I con il solo scopo di impossessarsi della cospicua eredità che il fratello Francesco aveva lasciato al suo solo erede maschio superstite (Filippo era morto ad appena cinque anni di età nel 1582) e per impedire che il nipote potesse vantare alcun diritto sul trono.

Un matrimonio segreto

Il 10 aprile 1578 Giovanna d’Austria morì per le conseguenze di un parto indotto da una caduta mentre stava uscendo dalla chiesa della SS. Annunziata. Francesco sposò in segreto Bianca neanche due mesi dopo, deciso a rendere pubblica l’unione allo scadere dell’anno di lutto. Era consapevole che il suo gesto avrebbe trovato una severa opposizione in seno alla sua famiglia e presso tutte le corti europee: occorreva trovare il modo per concedere a Bianca il titolo di granduchessa senza per questo mettere a rischio l’onorabilità e il potere mediceo. Per questo si adoperò fin da subito per far sì che la Repubblica di Venezia concedesse alla sua novella sposa il titolo di “vera e particolare figlia della Repubblica”, normalmente attribuito alle fanciulle dell’aristocrazia che si univano in matrimonio con re o principi.

Il titolo, riconosciuto a Bianca il 15 giugno 1579, non solo la rendeva degna di un granduca ma sanciva anche una salda alleanza politica tra il regno di Toscana e la Repubblica di Venezia. Le celebrazioni ufficiali del matrimonio che si tennero poco dopo non furono sufficienti a placare lo scetticismo del popolo che, ancora una volta, mise in rima il suo malanimo: “Il Granduca di Toscana / ha sposato una puttana / gentildonna veneziana”. Grande assente ai festeggiamenti organizzati per gli sponsali e per l’incoronazione fu l’ancora cardinale Ferdinando, fratello di Francesco.

Bianca granduchessa

La salita al trono di Toscana di Bianca non bastò a placare le voci che circolavano sul suo conto. Nonostante il comportamento irreprensibile che ebbe sempre al fianco di Francesco e la sua riconosciuta gentilezza e amabilità, su di lei si sfogarono le invidie degli altri principi italiani e il risentimento del popolo toscano verso il governo mediceo. Si cominciò a sospettarla mandante di omicidi, esperta di intrighi e di dissimulazioni, di essere una strega! Non aiutò certo la malcelata ostilità del cognato Ferdinando, che non aveva mai nascosto la sua avversione verso la scandalosa relazione e non riusciva a perdonare la povertà di sangue della donna. Eppure Bianca si offrì sempre di intervenire per riconciliare i due fratelli e per convincere Francesco a concedere denari in prestito per saldare i debiti contratti per i tanti eccessi di cui il cardinale era protagonista presso la corte papale.

Un rifugio dagli intrighi di corte

Non stupisce, allora, che due sovrani amassero allontanarsi dagli intrighi di corte per rifugiarsi nelle loro residenze di campagna. Come quella Villa di Pratolino, inaugurata nel 1580, dove natura, arte e artificio si fondevano mirabilmente. Spettacolari erano i congegni e gli automi azionati da complessi meccanismi idraulici ideati dall’architetto Buontalenti per le grotte ed alcune stanze della villa. Impressionante era la statua dell’Appennino di Giambologna (1529-1608), al cui interno si celavano altre grotte decorate. E lungo il parco statue, fontane e zampilli d’acqua suscitavano ulteriore ammirazione dei visitatori.

Una morte sospetta

Nel 1582 la morte colse Francesco e Bianca a poche ore di distanza l’uno dall’altra. La coppia si trovava nella Villa di Poggio a Caiano, allietati dalla presenza del cardinale Ferdinando, che li aveva raggiunti in segno di riconciliazione, dopo mesi di distacco e incomprensioni. Francesco cominciò a dare segno di qualche malessere l’8 ottobre, probabilmente colpito da febbre terzane. È difficile ripercorrere con sicurezza l’accaduto perché, nonostante l’aggravarsi delle condizioni del fratello, Ferdinando, il solo ad aver diritto a stare al suo capezzale, continuò ad inviare dispacci in cui si preoccupava piuttosto di comunicare il miglioramento del Granduca e la sua ostinazione a curarsi con rimedi da lui ideati. Annotava inoltre che anche la Granduchessa era costretta a letto, probabilmente affranta dal dispiacere causato dallo stato di salute del marito. Inoltre Ferdinando si premunì di rinchiudere la coppia in un rigoroso isolamento tanto che non soltanto i diplomatici e gli inviati della figlia di Bianca, Pellegrina, che, preoccupati, giungevano per avere notizie, non vennero mai accolti ma la stessa Granduchessa era tenuta all’oscuro delle effettive condizioni del marito.

L’agonia di Francesco si protrasse fino al 19 ottobre. Alla sua morte Ferdinando si precipitò a Firenze, dove prese possesso delle due fortezze medicee e si recò a Palazzo Vecchio per dare ordini e disposizioni. Bianca morì improvvisamente il 20 ottobre. Fu solo grazie alle abili doti di diplomatico di Ferdinando, e alla sua risoluzione di ordinare l’autopsia su entrambi i corpi, che le già diffuse voci di morte violenta e sospetta per i due granduchi vennero messe a tacere.

Ferdinando I e la “pessima Bianca”

Sul letto di morte Bianca aveva redatto, alla presenza di testimoni, un testamento con il quale disponeva, oltre ai lasciti per le istituzioni religiose e per la servitù, che al figlio Antonio andasse tutto quanto aveva ricevuto nel corso degli anni dal marito. E che alla figlia Pellegrina spettasse la considerevole somma di 30.000 scudi. Ferdinando riuscì a convincere i due testimoni a ritrattare e si impadronì così del lasciato disposto a favore di Pellegrina. Inoltre, mentre il corpo di Francesco giungeva a Firenze scortato da nobili e dignitari, per essere esposto nella Basilica di San Lorenzo e tumulato al suo interno, alla Granduchessa non vennero tributati gli stessi onori. Venne sepolta di gran fretta, lontana dai principi e dal suo consorte, in una sepoltura anonima.

La damnatio memoriae

Era solo il primo passo compiuto da Ferdinando per cancellare in città ogni traccia legata alla memoria di colei che, anche in occasioni ufficiali, non esiterà a chiamare “la pessima Bianca”. Diede ordine di sostituire le insegne di Bianca Cappello con quelle della casa d’Austria, negli stemmi in cui risultavano appaiate al blasone mediceo (lo stemma della Cappello rimase intatto solamente nel suo palazzo di via Maggio, testimonianza della sua vita indecorosa di favorita). Fece distruggere i ritratti di Bianca, arrivando addirittura a segare le tavole in cui era ritratta con altri membri della famiglia Medici. E soprattutto fece in modo di far risultare che quanto Francesco aveva lasciato di diritto al figlio don Antonio fosse in realtà frutto di un privilegio concesso magnanimamente dallo stesso Ferdinando a quel nipote “bastardo”. Si riservò così la facoltà di revocare, a più riprese, rendite e proprietà che sarebbero state legittimamente del fanciullo. Costrinse infine il nipote ad entrare nell’ordine dei Cavalieri di Malta, scelta che lo avrebbe obbligato al celibato.

Una fama immeritata

Complice l’atteggiamento ostile del nuovo granduca Ferdinando, volto a denigrare Bianca e il suo erede, non si placarono in città le insinuazioni e le maldicenze nei confronti della Cappello. Il veneziano Celio Malespini (1531-1609) raccontò addirittura in una novella che Francesco I era morto per aver assaggiato una torta avvelenata preparata dalla stessa Bianca ma in realtà destinata al cognato. Resasi conto del tragico errore, la Granduchessa non sarebbe riuscita a sopportare il dolore e avrebbe mangiato della stessa torta, causando la sua stessa morte, Ma a fare più effetto sono i versi che pare venissero apposti vicino al luogo in cui si riteneva sepolta la Cappello: “Qui giace un Cavatel pien di malie / e pien di vizi. La Bianca Cappella / puttana, strega, maliarda e fella, che sempre favorì furfanti e spie”.

Un giudizio del tutto immeritato, che contrasta con quanto raccontano le relazioni ufficiali degli ambasciatori e gli atti compiuti da Bianca durante gli anni che condivise con Francesco. Una fama dovuta in gran parte alla campagna denigratoria attuata dal granduca Ferdinando I e riportata, con una certa qual malizia, dagli storici settecenteschi e ottocenteschi.